La Città onora Ernesto Francotto a cinquant'anni dalla morte

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Venerdì 16 novembre alle ore 21 al Teatro Civico serata in ricordo del grande benefattore, uomo di scienza e d'arte, "innamorato di Busca"

Data:

12 Novembre 2018

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Francotto nacque a Busca il 13 dicembre 1883 e qui morì domenica 4 agosto 1968
Francotto nacque a Busca il 13 dicembre 1883 e qui morì domenica 4 agosto 1968
I suoi amici più cari, che lo conobbero e da “gionvicelli”, lo ricorderanno con affetto e gratitudine venerdì 16 novembre al Teatro Civico alle ore 21 e molti, c’è da crederci, arriveranno per unirsi al doveroso e sentito tributo ad uno dei più grandi benefattori e uomini di cultura della città.

A Ernesto Francotto, nel cinquantenario della morte, è dedicata una nuova iniziativa culturale del Comune, che prende il titolo di “Innamorati di Busca”, dove la prima parola ha il doppio significato, come aggettivo e come esortazione verbale, e che continuerà con altri incontri che avranno per protagonisti persone significative della storia cittadina che hanno lasciato un segno a Busca.

Ospiti del sindaco, Marco Gallo, e di tutta l’amministrazione comunale, venerdì 16 settembre saliranno sul palco l'architetto Gianni Arnaudo, il professor Luigi Chiamba, il notaio Carlo Alberto Parola, il musicista Bruno Pignata, la pittrice Maria Rosa Ravera Aira, il medico Diego Beltrutti. Condurrà Giangi Giordano. Ognuno di loro porterà il proprio racconto del medico, del pittore, del poeta, insomma del grande uomo che fu Francotto,  con alcune sorprese ed inediti.

Francotto nacque a Busca il 13 dicembre 1883 e qui morì domenica 4 agosto 1968, lasciando tutti i suoi beni alla Città, tra i quali, i più importanti sono la sua casa in piazza Regina Margherita, ora galleria d’arte, centro incontri e, da quest’anno, sede della Residenza Artistica Multidisciplinare del progetto #PerformingLands di Ideagorà, e un terreno sulla collina di Santo Stefano che circonda l’antico maniero diroccato del Castellaccio, ora pubblico parco a lui intitolato.

La sua figura è stata ben tracciata nel libro Buschesi (2012 Fusta Editore) dalla giornalista Mariangela Tallone, il cui scritto riportiamo di seguito.

Ernesto Francotto
nacque a Busca il 13 dicembre 1883; il padre, anche lui medico, morì dopo appena 3 anni.
Ingegno prontissimo e acuto, il giovane Francotto ebbe sempre ottimi risultati a scuola e quando terminò gli studi universitari a Torino, con la lode e la dignità di stampa, gli si aprì una brillante carriera: ricevette numerose proposte da alcuni illustri professori di cui era stato l’alunno prediletto; la sua tesi di laurea fu particolarmente apprezzata, ma lui tornò a Busca.
Vi tornò dapprima pensando di trascorrervi soltanto l’estate, come faceva ogni anno, con l’intenzione di ripartire in autunno; ma poi non ebbe il coraggio di lasciare la madre sola: il fratello Edoardo, infatti, non avrebbe potuto restarle vicino, perché era ingegnere a Torino, dove divenne capo della Divisione tecnica del Comune. D’altra parte, la mamma non si sarebbe mai trasferita in una grande città, né mai Francotto glielo chiese.

Per non lasciare sola la madre
Rimase a Busca e, a partire dal 1908, fece il medico condotto, e vi rimase anche dopo la scomparsa dell’amata madre, avvenuta nel 1915.
Intanto venne la guerra e anche lui partì soldato; quando tornò dal fronte, come disse qualche volta agli amici, “era troppo tardi per lasciare il paese”. D’altra parte, a lui non interessava la carriera e restando a Busca poteva godere di quella pace, di quella bellezza del cielo luminoso, di quell’armonia del canto degli usignoli, che in una grande città forse non avrebbero potuto alimentare il suo cuore d’artista.

Soldato-medico sul Carso
Nella Prima Guerra Mondiale fu sul Carso, a medicare i feriti, a salvare vite umane; al termine del conflitto, fu proposto per la medaglia d’oro, ma egli non aveva registrato il numero degli interventi, dei soldati curati, non gli interessava, gli bastava sapere di aver compiuto il suo dovere, e così, senza dati certi, non fu possibile inoltrare la pratica.

Infaticabile con i feriti
Durante la Seconda Guerra, nei giorni successivi al 10 giugno del 1940, quando giunsero nell’ospedale buschese numerosi soldati feriti in seguito allo sconfinamento dell’esercito italiano in territorio francese, il suo slancio e la sua generosità lo spinsero ad accorrere per primo a prestare le cure ai sofferenti. Vi rimase per giorni, senza mai tornare a casa, riposando soltanto su una poltrona, per essere pronto ad intervenire immediatamente.

Visse con grande sobrietà nell’abitazione di famiglia, quella che poi ha lasciato in eredità, con altri beni, alla sua città. A curarsi di lui e di quella casa fu sempre “tota Lucia”, una donna semplice e riservata che già la madre aveva chiamato a servire.

Una tartaruga, una gallina e un gallo
Nei ricordi di chi lo frequentava, c’è sempre, varcato il portone d’ingresso che si affaccia sulla piazza dell’ospedale, l’immagine di un giardino quasi incolto, lasciato crescere in libertà, come gli amatissimi animali, tra cui una tartaruga centenaria, una gallina e un galletto tremendo, che viveva in casa e aveva l’abitudine di beccare i piedi dei visitatori. Gallo e gallina avevano rappresentato il pagamento “in natura” di qualche paziente contadino che non aveva altro da offrire, ma Francotto invece di mangiarseli, non avendo il coraggio, ma nemmeno il pensiero di ucciderli, li tenne con sé fino alla loro morte naturale.

Casa di artista
Il suo salotto era stracolmo di mobili e oggetti: pendoli sempre fermi sotto la campana di vetro, frutti di marmo, ceramiche, e tanti quadri ad olio e ad acquarello, sistemati alla rinfusa contro le pareti, sul divanetto, in gran parte opera sua o di pittori amici suoi.

Quando passava per le vie di Busca, Francotto era conosciuto da tutti: inconfondibile la sua capigliatura sempre un po’ scomposta, gli occhi profondi e intelligenti, con uno sguardo quasi sognante e un sorriso da ragazzo, aperto alla meraviglia della vita, seppur pienamente e malinconicamente consapevole della sofferenza che pesa sul mondo.

Portava abiti dimessi, sembrava sempre un po’ assorto nei suoi pensieri, aveva un carattere cortese ma schivo, non amava mettersi in mostra, la sua dolce mitezza lo rendeva amabile ed amato lo era davvero.

Cure regalate
Egli curava tutti: non soltanto i ricchi, ma anche i poveri, quelli che non potevano pagare e che poi magari, quando lo incontravano, abbassavano gli occhi, temendo che gli si rinfacciasse il debito. Ma Francotto no, non era uomo che si occupasse del denaro e della cura delle cose materiali, era un generoso.

Ostaggio dei tedeschi
La sua fu un’esistenza priva di grossi cambiamenti, scandita dal lavoro senza risparmio, né di giorno né di notte, in bici, sul calessino che guidava personalmente o a piedi; tuttavia gli capitò di  passare alcuni momenti di grave pericolo, come quando, nel ’44, incappò in un rastrellamento tedesco e fu messo al muro, per poi essere rilasciato, in quanto non più un giovanotto; nello stesso anno, quando fu arrestato e messo in carcere a Costigliole Saluzzo, insieme al maestro Rosano, ai farmacisti Gullino e Chatel e al collega Aggero, come ostaggio, in seguito alla cattura, da parte dei partigiani, di tre militari russi che erano passati con i tedeschi. Quando i prigionieri furono rilasciati, per intercessione del capoguardia Clemente Inaudi, e gli ostaggi fecero ritorno a Busca con il tranvai, furono accolti con grande partecipazione e manifestazioni di gioia e sollievo da parte della popolazione.

Spazio alla creazione
Pieno di sollecitudine per gli altri, non rinunciò mai ai suoi doveri, ma neanche alle sue passioni che consistevano nell’approfondire le sue conoscenze e attitudini spirituali. Riteneva che un uomo, per essere libero, non dovesse mai lasciarsi completamente soverchiare dagli impegni e dalle preoccupazioni di ogni giorno, ma che dovesse ricavarsi uno spazio in cui contemplare e magari creare, come faceva lui con la penna e con il pennello.

Poeta e amico di poeti
Umanista colto, scrisse versi in italiano, piemontese e francese. Le radici della sua poesia vanno ricercate nei classici, che ben conosceva, molti anche a memoria, tanto che si racconta facesse a gara nel ricordarli con alcuni suoi amici, tra cui il Maestro di musica Angelo Romagna, nel cui salotto ascoltava la musica di compositori come Verdi e Puccini, ma soprattutto Chopin, da lui particolarmente amato e che rappresentò in due quadri.

Amico di grandi poeti dialettali come Nino Costa, fece scorrere nei suoi versi sentimenti che vanno dalla malinconia alla serenità, alla nostalgia; nelle sue poesie c’è la collina di Busca, con i suoi cieli a volte sereni a volte turbati da nubi nere, scorci, paesaggi, personaggi sempre vivi.

Gli piaceva declamare le sue poesie, i suoi versi armoniosi, farli sentire agli amici e chiedere loro che cosa ne pensassero. Quando lo faceva, la sua voce, di solito dolce e carezzevole, diventava forte, baritonale. Alcune sue liriche comparvero su periodici locali; la prima raccolta di versi, “Tremule foglie”, fu pubblicata nel 1965; uscirono postume: “El nost cioché” (1968), “Il medico” (1972) e “Ernesto Francotto, l’uomo e il poeta”, stampato nel 1985 dal Comune di Busca, ristampato nel 2006.

Pittore per caso
Sulla tela usava colori forti, quasi violenti, che sembrano in contrasto con la mitezza del suo carattere. Col rosso, in particolare, pareva voler esprimere la sofferenza della natura e del creato, come dimostrano l’albero abbattuto dall’uragano, o le nubi, sia pur lontane, che minacciano un cielo terso e luminoso.

Aveva iniziato a dipingere quasi per caso. Durante la Prima Guerra, da soldato, aveva tracciato su una cartolina postale di un soldato dal volto particolarmente fiero che aveva curato per una brutta ferita. Una cartolina, mai spedita, che ricomparve qualche anno dopo e da cui, grazie all’invito di un pittore suo conoscente che la vide e lo incoraggiò a dipingere, prese avvio l’altra sua vena artistica. Egli dipingeva la natura, le persone, i momenti dell’esistenza con pennellate incisive e con la spatola,  dimostrando così il suo desiderio di andare a fondo nella realtà e nel senso dell’esistenza.

Ricco di interiorità e di saggezza, non era religioso praticante. Egli coltivava una sorta di religione del cuore, che viveva nella quotidianità, nel rispetto degli altri e della loro dignità, cogliendo il divino nel creato e soprattutto nell’uomo.

“Grasie dutur”
Morì il pomeriggio di domenica 4 agosto del 1968 e lasciò tutti i suoi beni alla Città di Busca.

Il giorno dei funerali fu proclamato il lutto cittadino; i buschesi parteciparono in massa ai funerali, per dargli il loro definito, sentito e corale “grasie dutur”.

Grazie per tutto quello che aveva fatto, per quello che era stato, per quello che aveva lasciato; per le cure, per il rispetto, per l’amicizia, per l’esempio di vita e per quei versi teneri e malinconici di “El nòst cioché”, che restano impressi nella memoria del cuore di tutti i buschesi.


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Ultimo aggiornamento: 19/11/2018 13:39